Camminiamo insieme come comunità di Quaderni

Camminiamo insieme come comunità di Quaderni

30 marzo 2015

LA SETTIMANA SANTA CHE MI RICORDO



La settimana santa, lo sappiamo tutti, comincia con la Domenica delle Palme. E' ed era un periodo particolarmente significativo per tutti i cristiani, facendo memoria degli eventi legati agli ultimi giorni di Gesù: la sua passione, morte e resurrezione. Le giornate della Settimana Santa ancora così legate alla pietà popolare lo erano maggiormente in passato quando la vita era meno frenetica e le tradizioni più sentite.
A chi ha qualche annetto, come me, non dispiace ricordare quei giorni, legati anche all'avvento della primavera e a una prodigiosa e gioiosa risurrezione della natura e delle persone. Anche noi bambini e ragazzi cominciavamo ad uscire di casa la sera e dar vita ai giochi di strada. Le poche automobili non erano un problema e non interferivano, per esempio, con le  epiche gare di "scondileora".
D'altronde tutto sembrava respirare aria nuova: in casa si facevano le grandi pulizie di Pasqua col trambusto delle spostamento di mobili, si lavavano i pavimenti di cotto, i vetri, le finestre, si sbattevano i materassi. In qualche caso si imbiancavano i muri di casa e, soprattutto, le donne facevano "la lissia".
Si cominciava ad uscire la sera, dicevo. I primi tre giorni della settimana ci si riuniva per una breve celebrazione ai tre angoli del paese - alla Bassa, al Ghetto e alle Casenoe - dove le famiglie avevano predisposto dei piccoli altari. "Gesù mio, con dure funi come reo chi ti legò? Sono stato io l'ingrato, Gesù mio perdon pietà!". Ricordo che i versi di questa canzone versi mi coinvolgevano emotivamente, chiamandomi direttamente in causa come attore della passione di Gesù. Ero stato davvero io l'ingrato?
Alla memoria dell'ultima cena, della lavanda dei piedi e dell'adorazione al sepolcro nella celebrazione del Giovedì Santo è legato il mio ricordo della legatura delle campane e del conseguente,  profondo silenzio che ci introduceva al Venerdì Santo.
Nella mattinata si celebrava il rito definito "mesa seca".  In mancanza del suono della campane, noi ragazzi si passava per le strade del paese con la "batarela": uno strano e primitivo attrezzo di legno adatto ad essere impugnato, che, fatto girare , metteva in moto delle appendici di ferro, producendo, così, il forte rumore  che avvisava la gente dell'imminente inizio della celebrazione.
Ma il mio ricordo più vivo del Venerdì Santo va alla solenne processione che seguiva il rito della "Via Crucis". La croce percorreva le vie del paese con tutte le finestre che esibivano palloncini illuminati da una candela messa all'interno. In alcune corti o vicoli, c'erano delle croci formate da file di lumini. I bottegai adornavano le o vetrine dei negozi con i migliori prodotti: nelle macellerie, sembravano belare gli agnelli adornati con  carta colorata e nastri.
Il Sabato santo era sentito come giorno di estremo raccoglimento che sfociava, però, nella gioiosità pasquale, dopo la celebrazione serale con la benedizione del fuoco e dell'acqua, quando venivano slegate le campane.
Di quelle lontane Pasque ricordo con piacere anche la parte culinaria. Le uova di pasqua, soprattutto: uova vere non dolci di cioccolata, colorate nell'acqua bollente con erbe di stagione. Ricordo il dolce tipico: la brasadela, una focaccia a forma di ciambella legato anche a un proverbio di natura meteorologica che dice (diceva) "Se no pioe su l'olivela, pioe su la brasadela"
A tavola, poi, si presentava  il primo piatto  tipico della Pasqua: le paparele, che venivano quasi osannate nel detto: "Alleluia, alleluia le paparele le se 'ngarbuia"                                                

Alpidio


Nessun commento:

Posta un commento