La settimana santa, lo sappiamo
tutti, comincia con la Domenica delle Palme. E' ed era un periodo particolarmente
significativo per tutti i cristiani, facendo memoria degli eventi legati agli
ultimi giorni di Gesù: la sua passione, morte e resurrezione. Le giornate della
Settimana Santa ancora così legate alla pietà popolare lo erano maggiormente in
passato quando la vita era meno frenetica e le tradizioni più sentite.
A chi ha qualche annetto, come
me, non dispiace ricordare quei giorni, legati anche all'avvento della
primavera e a una prodigiosa e gioiosa risurrezione della natura e delle
persone. Anche noi bambini e ragazzi cominciavamo ad uscire di casa la sera e
dar vita ai giochi di strada. Le poche automobili non erano un problema e non
interferivano, per esempio, con le epiche
gare di "scondileora".
D'altronde tutto sembrava
respirare aria nuova: in casa si facevano le grandi pulizie di Pasqua col
trambusto delle spostamento di mobili, si lavavano i pavimenti di cotto, i
vetri, le finestre, si sbattevano i materassi. In qualche caso si imbiancavano
i muri di casa e, soprattutto, le donne facevano "la lissia".
Si cominciava ad uscire la sera,
dicevo. I primi tre giorni della settimana ci si riuniva per una breve
celebrazione ai tre angoli del paese - alla Bassa, al Ghetto e alle Casenoe -
dove le famiglie avevano predisposto dei piccoli altari. "Gesù mio, con dure funi come reo chi ti
legò? Sono stato io l'ingrato, Gesù mio perdon pietà!". Ricordo che i
versi di questa canzone versi mi coinvolgevano emotivamente, chiamandomi
direttamente in causa come attore della passione di Gesù. Ero stato davvero io
l'ingrato?
Alla
memoria dell'ultima cena, della lavanda dei piedi e dell'adorazione al sepolcro
nella celebrazione del Giovedì Santo è legato il mio ricordo della legatura
delle campane e del conseguente, profondo
silenzio che ci introduceva al Venerdì Santo.
Nella mattinata si celebrava il
rito definito "mesa seca". In mancanza del suono della campane, noi
ragazzi si passava per le strade del paese con la "batarela": uno strano e primitivo attrezzo di legno adatto ad
essere impugnato, che, fatto girare , metteva in moto delle appendici di ferro,
producendo, così, il forte rumore che
avvisava la gente dell'imminente inizio della celebrazione.
Ma il mio ricordo più vivo del Venerdì
Santo va alla solenne processione che seguiva il rito della "Via Crucis".
La croce percorreva le vie del paese con tutte le finestre che esibivano
palloncini illuminati da una candela messa all'interno. In alcune corti o
vicoli, c'erano delle croci formate da file di lumini. I bottegai adornavano le
o vetrine dei negozi con i migliori prodotti: nelle macellerie, sembravano belare
gli agnelli adornati con carta colorata
e nastri.
Il Sabato santo era sentito come
giorno di estremo raccoglimento che sfociava, però, nella gioiosità pasquale,
dopo la celebrazione serale con la benedizione del fuoco e dell'acqua, quando
venivano slegate le campane.
Di quelle lontane Pasque ricordo
con piacere anche la parte culinaria. Le uova di pasqua, soprattutto: uova vere
non dolci di cioccolata, colorate nell'acqua bollente con erbe di stagione.
Ricordo il dolce tipico: la brasadela, una focaccia a forma di ciambella legato
anche a un proverbio di natura meteorologica che dice (diceva) "Se no pioe su l'olivela, pioe su la
brasadela"
A tavola, poi, si presentava il primo piatto tipico della Pasqua: le paparele, che venivano quasi osannate nel detto: "Alleluia, alleluia le paparele le se
'ngarbuia"
Alpidio