Domenica 19 ottobre si è celebrata nella
nostra parrocchia, in unisono con tutto il mondo, la 88^ Giornata Missionaria,
il cui slogan recitava "Periferie cuore della missione".
La giornata missionaria mondiale fu
istituita nel 1926 da Papa Pio XI per sostenere l'attività missionaria della
Chiesa Universale.
Quanti anni sono passati! In ragione
della mia età, ricordo tante giornate missionarie vissute sull'onda,
sull'entusiasmo, sulle fantasie create da missionari che mi narravano di paesi
lontani e misteriosi, di bambini denutriti che spesso morivano di fame, di eroici missionari che percorrevano con la
moto e spesso a piedi enormi distanze per raggiungere villaggi in cui celebrare
la messa e battezzare nuovi cristiani, di ragazzini che, distribuiti nei
negozi, chinavano la testa in segno di ringraziamento a chi dava loro un soldino.
Cos'è cambiato? Cosa sono queste
periferie del mondo che dovrebbero essere il cuore della missione?
La
risposta me l'ha data Padre Siro, un missionario appartenente alla
"Comunità Missionaria di Villaregia", con il suo disarmante sorriso,
quando mi ha accolto con una stretta di mano all'ingresso della chiesa per la
messa vespertina del sabato.
Ogni cristiano è un missionario e non
per modo di dire. Dal suo atteggiamento deve trasparire la gioia del vangelo che
sta vivendo. E' questa gioia il distintivo per riconoscere il cristiano: in famiglia, sul lavoro, nei luoghi del tempo
libero.
E' questo nuovo discepolo di Cristo che
deve frequentare le periferie del mondo, i luoghi più degradati dove la
giustizia sociale è solo un'utopia. Non per
fare proselitismo ma per dare una testimonianza, talvolta silenziosa, di una vita permeata di amore per tutti gli
uomini senza distinzione e, direi anche, per tutte le cose.
Com'è nello spirito di Papa Francesco,
un sorriso, un abbraccio, una pacca sulla spalla vale più di lunghi discorsi e
fa riconoscere il cristiano anche senza che egli si presenti.
Padre Siro nell'omelia ha rappresentato,
quindi, una Chiesa "in uscita", una Chiesa che si allontani
decisamente dall'ombra dei campanili per raggiungere le periferie delle nuove
povertà, una Chiesa che eviti di "impantofolarsi" nei suoi salotti ma
metta scarpe solide adatte a camminare anche nel fango.
Non so se ho reso l'idea di quanto ha
significato per me quest'ultima e nuova giornata missionaria. Sono convinto,
però, che proprio questa è la “missionarietà” richiesta dal nostro tempo.
Alpidio
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