La sera dello scorso 7 febbraio era una di quelle brutte
sere che ti invitano a startene a casa sul divano a guardare la TV. Pioggia e
vento, però, non hanno impedito a tantissima gente di venirsene a Villafranca
ad ascoltare don Luigi Ciotti.
La grande chiesa della Madonna del Popolo è molto
affollata. Tante facce note che trovo di solito a questo genere di appuntamenti
ma… quanta tanta altra gente! C’è, naturalmente, don Riccardo. Noto con piacere
anche alcune persone di Quaderni che, evidentemente, hanno deciso che ne valeva
la pena.
Renzo Fior, responsabile della Comunità
Emmaus di Villafranca, introduce la serata, ricordando che l’incontro si
propone di portare alla memoria due avvenimenti. Innanzitutto il settimo anniversario
della morte dell’Abbè Pierre - il 22 gennaio 2007. Fondatore di Emmaus,
personaggio di cui tutto il mondo ha riconosciuto la grandezza e, cosa che non
tutti sanno, dal 2005 cittadino onorario di Villafranca. Si vuole ricordare anche
il sessantesimo anniversario di quel febbraio 1954, quando egli tenne il
celebre discorso a Radio Luxemburg che così cominciava: “Amici, aiuto!... Una
donna è morta di freddo questa notte alle 3.00 sul marciapiede di corso Sebastopoli. In mano aveva il biglietto con cui era stata sfrattata
l'altro ieri... Ogni notte ci sono più di duemila poveri sui nostri marciapiedi
che soffrono il freddo, muoiono senza cibo, senza pane, senza tetto…”. Quell’appello toccò il cuore di tutto il mondo, scuotendone
l’indifferenza.
Ed eccolo, don Ciotti. Lo conoscono tutti. E’ il fondatore
del “Gruppo Abele” e di “Libera”: un prete di strada come lo ebbe a definire il
cardinal Pellegrino nell’ordinarlo sacerdote a Torino. Un prete sempre in
trincea contro le mafie e in soccorso ai tossicodipendenti. Un prete che non ha
paura di parlar chiaro, anche se adesso deve viaggiare con una scorta armata.
Il suo, come al solito, è un discorso appassionato,
gridato quasi, un discorso che mi sembra tracimare oltre parole. Mi sento
incapace di riassumere questo fiume di passione evangelica e civile che tutto
innonda. Lo farò con piccoli flash.
“Il grande
segnale deve essere quello della prossimità che consiste nella capacità e nel desiderio
profondo di mettersi nei panni
dell’altro. Questo coinvolgimento è la prima dimensione della giustizia”.
“L’Abbè Pierre
ci ha insegnato a metterci in gioco, a non essere cittadini a intermittenza, a
seconda dei momenti e delle opportunità. Non basta commuoversi, bisogna muoversi!”.
“Sì, prete di strada! Perché è la strada a
insegnarci il cammino. Sulla strada incontriamo tante povertà, tra cui cinque
milioni di nostri concittadini che vivono in una situazione di povertà assoluta.
Sono stanco di sentire gente che si riempie la bocca di solidarietà. Io mi
auguro che ci sia meno solidarietà e piu’ rispetto dei diritti e piu’
giustizia”.
“Abbiamo in
Italia sei milioni di persone analfabete di ritorno. L’Europa ci ha ricordato
che siamo agli ultimi posti per quanto riguarda le istituzioni scolastiche. Non possiamo limitarci a
occuparci dell’istruzione senza rimuovere le cause sociali e politiche di
questo tipo di emarginazione”.
“Dobbiamo
operare tutti insieme. Io sono convinto che è il NOI che vince. NOI dobbiamo
dare speranza, dobbiamo abitare questo nostro tempo. Il problema piu’ grave è il
nostro sguardo assente, la nostra indifferenza, il non prendere coscienza della
realtà . Risento dentro di me le parole di Padre Turoldo, di Padre Balducci…
non ci sono piu’ ma il loro grido non si è spento”.
Mi fermo qui per mancanza di spazio. Dell’appassionato,
terribile discorso di don Ciotti mi è rimasta dentro una certezza: finchè ci
saranno persone come lui, come l’Abbè Pierre, come tantissimi altri che ci
mettono la faccia – tra loro potremmo esserci anche noi – è possibile coltivare
la speranza di un mondo migliore.
Alpidio
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